in Mostra a… Primo piano 

Donatello, l’universale

di Adriana De Angelis

A Firenze la prestigiosa mostra “Donatello, il Rinascimento” celebra il “maestro dei maestri” simbolo di un’epoca. La retrospettiva visibile fino al 31 luglio 2022 mette a confronto i più importanti capolavori del Maestro toscano con le opere di artisti a lui contemporanei e successivi.

Un dipinto di scuola toscana della prima metà del XVI secolo, attribuito da Vasari a Paolo Uccello ma catalogato al Louvre come opera di anonimo, ci dona i ritratti di “Cinque maestri del Rinascimento fiorentino”: Giotto, Paolo Uccello, Donatello, Antonio Manetti e Filippo Brunelleschi, due pittori, uno scultore, un matematico/architetto/biografo e un architetto. In esso, Donato di Niccolò di Betto Bardi, più noto come Donatello, vi appare anziano, ritratto sicuramente negli ultimi anni della sua lunga vita, durata dal 1386 – data convenzionale, acquisita come certa poiché non si ha sicurezza sull’effettivo anno di nascita – al 1466; ben 80 anni, dunque.

 

L’universale personalità di Donatello, con la sua inequivocabile e forte influenza sulla realtà artistica non solo del suo tempo e delle città e regioni toccate dalle sue opere, è da considerarsi figura chiave di quel rinnovamento filosofico, artistico, scientifico e letterario, noto come Umanesimo/Rinascimento, avvenuto in Italia e in Europa più o meno tra la metà del 1300 e la metà, se non addirittura, secondo alcune interpretazioni, la fine del 1500. Partito dalla riscoperta della cultura dell’antichità classica greco-romana, quel movimento culturale arrivò ad elaborare l’umanità e la coscienza moderne. E di una incredibile modernità appare ai nostri occhi la sfaccettata e complessa figura di Donatello, difficile da incasellare per originalità di soluzioni e interpretazione del passato, varietà di materiali e stili in continuo movimento e inarrestabile sperimentazione, che, come scrive Francesco Caglioti, curatore della mostra Donatello, il Rinascimento: “non è stato semplicemente l’artefice di una svolta epocale al pari di Giotto, Raffaello e Caravaggio, ma molto di più, cioè un fenomeno di rottura che ha introdotto nella storia nuovi modi di pensare, di produrre e di vivere l’arte. E siccome il futuro non si costruisce mai senza il passato, questa rivoluzione si è originata in Donatello da una memoria diretta dell’arte prima di lui che, a quanto pare, lungi dal limitarsi a quella romanità classica su cui si tende comunemente ad appiattire il senso della parola “Rinascimento”, ha smosso millenni, ovvero tutto quello che ai suoi occhi si presentava come antico, fino all’epoca di Giotto. […] Donatello è stato visto alternativamente come un patriarca del Rinascimento e come un ultimo campione del Gotico, come un classico e come un anticlassico, pronto a piegarsi forse più di qualunque maestro del passato alla più contrastanti letture di larga campata, per periodi e per categorie”.

 

Museo Nazionale del Bargello, Firenze, mostra “Donatello, il Rinascimento”, allestimento di una sala espositiva (© photo Ela Bialkowska OKNO studio)

 

Seppur discendente da una modesta famiglia di artigiani della lana, Donatello, stando al Vasari, era stato nominato così da alcuni suoi amici perché dotato di un carattere raffinato ed elegante. Eleganza e raffinatezza che riscontriamo nella sua opera più nota: il David. La critica attribuisce la fusione della statua ad un arco temporale che si estende dal 1427 al 1460, attestandosi su una molto probabile esecuzione effettuata intorno agli anni 40 del 1400, quando l’artista aveva 50 anni. Eseguito, pare, su commissione di Cosimo de’ Medici, il bronzo dorato di poco più di un metro e mezzo di altezza nel quale alcuni più che David ravvedono la rappresentazione di Mercurio, è in ogni suo dettaglio, di chiara ascendenza classica, un capolavoro di perfezione che trasmette armonia assoluta da qualunque punto di vista lo si guardi. Il corpo, il primo nudo a tutto tondo eseguito dopo la caduta dell’impero romano, è quello di un adolescente che, consapevole della sua vittoria, appoggiandosi con naturale compostezza ed eleganza, seppur con orgoglio, sulla sua spada, guarda la testa di quel gigante Golia che è ora ai suoi piedi.

 

Nel David, Donatello non rappresenta un eroe idealizzato, ma un giovane qualunque, dalle forme acerbe e dai tratti plebei, che ha compiuto un’impresa di cui, forse, nemmeno lui si riteneva capace e ne è fiero come lo è del suo coraggio, l’unica difesa, testimoniata dalla sua nudità, che aveva di fronte ad un gigante che persone più esperte di lui avrebbero avuto paura ad affrontare. Quale differenza tra questo giovane eroe e il suo alter ego, la figura femminile del gruppo di Giuditta e Oloferne. Eseguito tra il 1453 e il 1457, questo bronzo di più di due metri di altezza, ci presenta un’eroina tragica, interamente vestita, che cerca nel suo Dio il coraggio di sconfiggere il tiranno, pienamente consapevole, e per questo combattuta in se stessa, della necessità di uccidere per salvare il suo popolo, malgrado ripudi il togliere la vita ad un suo simile. A questo gruppo guarderà, un secolo dopo, Benvenuto Cellini nella lunga gestazione del suo colossale Perseo con la testa di Medusa, commissionato nel 1545 e portato a temine nove anni dopo. Con lo straordinario, raffinato equilibrio delle sue magnifiche ed eleganti proporzioni, Perseo è la rappresentazione stessa della sconfinata tristezza che coglie l’eroe nel momento di calma, successivo allo sforzo, allorquando espone al pubblico il suo trofeo.

 

Una sinuosa eleganza contraddistingue anche il David vittorioso, eseguito in marmo e in dimensioni più grandi del naturale (la statua misura 191 cm di altezza), da un giovane Donatello, appena ventiduenne, tra il 1408 e il 1410 per l’Opera del Duomo di Firenze. Ad un busto e ad un profilo squisitamente classici – il capo del giovane David, cinto da una corona di amaranto è chiara citazione della statuaria romana – corrispondono la grazia di arti e mani allungate, increspature di panneggi nonché una articolata accentuazione della posa ancheggiante che rimandano inequivocabilmente all’arte gotica del Ghiberti nella cui bottega Donatello compì la sua formazione. Una delle prime opere attribuitagli con sicurezza, questa scultura si pone ad esempio di quel rivoluzionario, complesso mondo, tra gotico e rinascimentale, in cui l’artista fiorentino si trovava a compiere la sua opera per la quale divenne celebre tra i suoi contemporanei e eredi, tra cui Michelangelo che a lui guardò nell’eseguire la sua versione del David.

Rappresentanti, l’uno del primo Rinascimento e l’altro del Rinascimento maturo, Donatello e Michelangelo condivisero la rara capacità di saper riprodurre l’Antico con tale maestria da rendere difficile il comprendere se la loro fosse un’opera contemporanea piuttosto che antica. Noto è l’episodio legato all’esecuzione di un cupido dormiente, ora perduto, da parte di Michelangelo che, venduto come antico al cardinale Giorgio Raffaele Riario, fece conoscere il grande artista al cardinale che, compresene le grandi capacità scultoree, gli commissionò un Bacco che, essendo come disse il Vasari “così tanto mirabile, che nelle statue mostrò essere eccellente più d’ogni altro moderno”, diede inizio alla sua carriera. Altrettanto nota, è la vicenda della testa bronzea di cavallo, scolpita da Donatello, conosciuta come la Testa Carafa, Cavallo Carafa o Protome Carafa. L’opera, delle dimensioni di 175 cm, ammirata anche da Goethe nell’omonimo quattrocentesco palazzo nobiliare di via San Biagio dei librai, era la testa di un monumento equestre di Alfonso V d’Aragona, commissionato a Donatello dopo quello del Gattamelata e a cui l’artista lavorò dal 1456 a 1458. Destinato ad essere posto al centro del livello superiore dell’arco trionfale del Castel Nuovo/Maschio Angioino, all’interno della nicchia sopra la scena dell’Ingresso trionfante di Alfonso d’Aragona in città, fu di fatto, mai terminato. La testa, l’unica parte del monumento eseguita, fu inviata da Lorenzo il Magnifico al Re di Napoli Ferrante I d’Aragona che, nel 1471, la donò al suo cortigiano Diomede Carafa che la pose nel cortile di quello che per secoli si chiamò, appunto, “il palazzo del cavallo di bronzo”. Nel 1809, l’opera venne donata dall’ultimo principe Carafa di Colubrano al Museo Archeologico napoletano, attuale MANN, perché erroneamente creduta scultura risalente al III secolo a.C. L’opera, per la sua impressionate perfezione scultorea, fu ritenuta un reperto archeologico sia dal Vasari – che in un secondo tempo ne diede la giusta attribuzione a Donatello, come fecero altri accreditati scrittori cinquecenteschi – sia dal Winckelmann. Napoli, in effetti, ha il pregio di custodire due importanti opere donatelliane, testimoni, a trent’anni di distanza l‘una dall’altra, dell’arte giovanile e di quella degli ultimi anni dell’artista: la Testa Carafa, appunto, eseguita a 66 anni, e il sepolcro del cardinale Rainaldo Brancaccio, realizzato insieme a Michelozzo, con cui Donatello strinse una lunga collaborazione, proficua tanto quanto quella portata avanti con Brunelleschi.

 

A Pisa, Donatello e Michelozzo avevano preso in affitto una bottega comune, da dove sarebbe stato facile inviare a Napoli i pezzi del monumento via mare, come di fatto avvenne. Preceduto dal monumento funebre del Battistero di Firenze dell’antipapa Giovanni XXIII, eseguito sempre da Donatello e Michelozzo, quello della chiesa di Sant’Angelo a Nilo a Napoli, segnò un’evoluzione nel modello del monumento funebre. Come nel caso del sepolcro fiorentino, anche a Napoli è difficile stabilire un confine tra i contributi di Donatello e quelli di Michelozzo. Di Donatello, però, è sicuramente il rettangolare rilievo in stiacciato, tecnica da lui inventata e nella quale eccelleva, posto al centro del fronte del sarcofago del cardinale Rainaldo Brancaccio con l’Assunzione, rappresentazione decisamente insolita per un monumento funebre, ma Donatello aveva la tendenza ad esprimere una personale originalità che lo portava a rivoluzionare l’espressione di quanto realizzava. E certamente rivoluzionario, oltre al soggetto, è anche il modo di rappresentarlo. Il bassorilievo mostra al centro una robusta e anziana Vergine Maria che, seduta su un trono coperto da un telo, con le mani giunte, in evidente e trepidante accettazione del suo destino, sta ascendendo al cielo, portata da un gruppo di angeli dalle cui espressioni e originali posizioni si evidenzia lo sforzo impiegato nel trasporto mentre, vera prova di virtuosismo dell’artista, alcuni puttini a bassissimo rilievo si rincorrono tra le nuvole.

 

Il forte realismo della rappresentazione dell’Assunzione, memore del giovanile crocefisso ligneo di Santa Croce nonché dell’Abacuc e della Maddalena penitente ci ricorda il forte senso di umanità di cui Donatello dotava tutti i protagonisti delle sue opere. In questo rilievo marmoreo, oltre alla vivezza di quelle degli angeli – la stessa degli “spiritelli” della Cantoria di Firenze e del Pulpito di Prato -, anche l’espressione della Vergine ci appare, come nelle migliori opere di Donatello, intensa ed emotivamente espressiva, colma di un umano, seppur composto, timore per quella particolare salita al cielo che, in qualche modo, ci fa pensare alla comprensibilmente spaventata Madonna dell’Annunciazione di Recanati del 1534 di Lorenzo Lotto.

In una città crocevia di culture come Napoli, dove, a livello artistico, dominarono essenzialmente le influenze franco-fiamminghe, qualcosa dell’opera di Donatello deve aver colpito e stimolato la già presente fantasia napoletana tanto da penetrare nel tessuto connettivo della città e portare soprattutto la Testa Carafa a diventare un leggendario simbolo cittadino, presente nell’immaginario collettivo e nell’opera di autori locali come Matilde Serao che ne parlò nei suoi scritti. Anche a Napoli, quindi, seppure in modo totalmente diverso da città come Firenze e Padova dove l’artista ha risieduto, o Roma, Pisa e Lucca dove fece brevi trasferte producendo imitatori e seguaci, Donatello ha lasciato il suo segno.

L’Assunzione napoletana rimanda ad altre opere di Donatello aventi la Vergine come soggetto quali la splendida Madonna Pazzi del 1422, la controversa, perché non da tutti ritenuta di sua mano, Madonna delle nuvole del 1425-30 e la Madonna Dudley del 1440, fulgido esempio a cui Michelangelo sicuramente si rifece nell’eseguire, cinquant’anni dopo circa, la sua Madonna della scala. Del 1440 circa, è anche la Madonna col Bambino e quattro cherubini, eseguita in terracotta, una tecnica antica, menzionata da Plinio il Vecchio, che Donatello e Brunelleschi fecero rivivere nei primi due decenni del XV secolo, ritenendola adatta alla realizzazione di figure di tutti i formati. Con questa tecnica, Donatello, nel 1410, portò a termine un gigantesco Giosuè, alto cinque metri, immaginato per uno dei contrafforti intorno alla futura cupola del Duomo di Firenze. La statua, ora perduta, resistette all’esposizione alle intemperie per due secoli prima di scomparire. Le Madonne, invece, si sono fortunatamente salvate e, realizzate per il culto domestico in terracotta non solo continuano ad esistere anche se ampio è ancora il dibattito intorno alla loro attribuzione, ma sono esempio di una riproduzione seriale ante litteram, possibile grazie all’uso di un materiale duttile quale la terracotta indiscutibilmente è.

 

Quello che colpisce nelle Madonne con bambino di Donatello è l’estrema dolcezza, riscontrabile anche nel gruppo, sempre in terracotta, del Victoria and Albert Museum, che rimanda all’Eleusa (dal greco bizantino Ἐλεούσα, colei che mostra tenerezza o che mostra misericordia), un tipo di iconografia cristiana, quella della Madonna, con Gesù in braccio, che appoggia la sua alla guancia del figlio, diffusa inizialmente nelle icone bizantine e nella produzione artistica di tutti i paesi europei nel periodo medioevale. Fino al Rinascimento, l’arte occidentale e l’arte orientale, infatti, procedettero in parallelo su linee metafisiche, simboliche e impersonali. Posto l’essere umano al centro delle cose, l’Occidente scegliendo la via dell’immanenza e dell’individualismo, si allontanò sempre più da quella visione, ritenuta obsoleta, tanto da sparire con il Medioevo, visione alla quale l’Oriente è rimasto fedele fino ai nostri giorni, soprattutto nella produzione delle icone che, tuttora, si rifanno ad antichi canoni. Con le sue Madonne il genio di Donatello, non solo operò una fusione tra arte medioevale e arte rinascimentale, ma ricompose, seppur inconsapevolmente, due visioni del mondo, quella occidentale e quella orientale, grazie al pathos e ai profondi sentimenti di tenerezza, recepiti anche dal Mantegna che emanano da una madre, una qualunque, umanissima madre, che, protettivamente, abbraccia suo figlio.

 


La Mostra a Firenze

Dal 19 marzo al 31 luglio 2022, la Fondazione Palazzo Strozzi e i Musei del Bargello presentano Donatello, il Rinascimento, una mostra che mira a ricostruire lo straordinario percorso di uno dei maestri più importanti e influenti dell’arte italiana di tutti i tempi, attraverso la messa a confronto della sua opera con quella di artisti quali Brunelleschi, Masaccio, Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Raffaello e Michelangelo.

Ben 130 opere, in prestito dai più importanti musei del mondo come il Louvre di Parigi o il Metropolitan Museum di New York, distribuite nelle due sedi di Palazzo Strozzi e del Museo Nazionale del Bargello, illustrano in quattordici sezioni la vita e la fortuna del “maestro dei maestri”: “Dedicare una mostra monografica così ampia a Donatello – spiega il curatore Francesco Caglioti, professore ordinario di Storia dell’Arte medievale presso la Scuola Normale Superiore di Pisaè una sfida unica, della quale siamo davvero grati alla generosità di tanti prestatori. Le mostre a lui intitolate finora sono state fatte perlopiù esponendo copie o limitando la scelta degli originali a pochi pezzi”.

 

Oltre che nelle sedi fiorentine, il percorso espositivo, come la fama del suo maestro, si allunga al resto della regione; la Fondazione Palazzo Strozzi propone, infatti, la speciale iniziativa Donatello in Toscana, un progetto che ambisce a valorizzare il patrimonio artistico regionale, da Firenze a Siena, da Prato ad Arezzo, da Pontorme a Torrita di Siena. Una mappa tematica, fisica e digitale, condurrà gli appassionati alla scoperta di oltre 50 opere distribuite sul territorio toscano. La rassegna offre anche una interessante serie di iniziative a latere che vanno dagli incontri con i restauratori all’organizzazione di laboratori per grandi e piccini alla presenza on-line sul canale Tik Tok. Inoltre, dal 5 aprile al 26 luglio 2022, nell’ambito del progetto Pausa d’arte, ogni martedì, dalle 18 alle 18.40, studenti dell’Accademia di Belle Arti di Firenze proporranno una visita di 30 minuti dedicata alla mostra.

Dopo il 31 luglio, l’esposizione, promossa e organizzata in collaborazione con la Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst degli Staatliche Museen di Berlino e il Victoria and Albert Museum di Londra si traferirà alla Gemäldegalerie di Berlino (2 settembre 2022 – 8 gennaio 2023) mentre nella primavera del 2023 sarà ospitata dal Victoria and Albert Museum.

In copertina, Donatello, “Madonna col Bambino” (“Madonna Pazzi”), particolare, 1422 circa 


“Donatello, il Rinascimento”
Firenze, 19 marzo – 31 luglio 2022

Palazzo Strozzi
Orario: tutti i giorni 10-20.00; giovedì fino alle 23
Prenotazione obbligatoria: dal lunedì al venerdì, 9-13 / 14-18
tel. 0552645155 – prenotazioni@palazzostrozzi.org

Museo Nazionale del Bargello
Orario: tutti i giorni compresi i festivi 8.45-19; martedì 10-18
Info e prenotazioni: Museo Nazionale del Bargello Firenze Musei
tel. 055294883 – firenzemusei@operalaboratori.com

Related posts